La costellazione dei BRICS

Il 22-24 ottobre, a Kazan, Russia si è tenuto il summit annuale dei BRICS. Un appuntamento politico e geopolitico importantissimo, da qualunque punto di vista lo si esamini. Un grande palcoscenico per la presidenza russa. La Russia infatti, con il vertice, ha potuto dimostrare che non solo la ‘guerra economica totale’ dichiaratagli dagli Stati Uniti e dal blocco americano ha fallito i suoi obbiettivi in oltre due anni di conflitto in Ucraina, ma che anche il cosiddetto ‘isolamento internazionale’ di Mosca è semplicemente una chimera.

PUTIN, GRAN SACERDOTE DEL RITO DEI BRICS

‘La ‘Global Majority’, come viene definita dai politologi putiniani o comunque di scuola ‘eurasiatista’, ovvero l’insieme di paesi e popoli che costituiscono la ‘maggioranza’ dell’umanità (una realtà geopolitica un pochino indistinta, peraltro), sta dalla parte di Mosca o intende continuare ad avere forti relazioni con Mosca. Il palcoscenico di Kazan, anche in questo senso, ha funzionato molto bene: Vladimir Putin è stato il Gran Sacerdote che ha officiato il rito dei BRICS. Come si è potuto plasticamente vedere nella foto fra il presidente russo in mezzo fra il primo ministro indiano e il presidente cinese.

Ma che cosa sono i BRICS? Sono un (potenziale) blocco politico militare ed economico, come spesso lo interpretano osservatori di obbedienza pontiniana? O rimangono al massimo un mero forum di discussioni para-filosofiche, come li vedono specialisti di opposta obbedienza atlantista? In realtà i BRICS non sono né l’uno, né l’altro. Di tutta evidenza, non costituiscono un ‘blocco politico militare’ e ‘strategico-economico’ ovvero caratterizzati da una potenza dominante e alcuni alleati più o meno subordinati, il tutto contraddistinto da una logica amico/nemico verso i potenziali rivali o i semplici competitori. Ma non è neppure un mero forum di discussione internazionale senza istituzionalizzazione, senza istituzioni, senza un disegno geopolitico: un foro geopolitico di incontri occasionali.

BRICS NÈ BLOCCO NÈ FORUM, MA...

Che i BRICS non siano un blocco è del tutto evidente: gli attori membri o partners dei BRICS sono su un piano più o meno ‘paritario’ o quasi paritario; le differenziazioni fra le loro economie ed anche i valori civili di riferimento sono tantissime, come le relative contraddizioni; parlare di ‘blocco BRICS’ o anche solamente di ‘blocco eurasiatico’ è estremamente ardito, sbagliato e fuori luogo dal punto di vista del sistema delle relazioni internazionali. Ridurre il tutto a un mero forum come tendono a fare commentatori e specialisti ‘atlantisti’ è del tutto fuorviante: i BRICS hanno loro istituzioni, la New Development Bank e hanno istituzionalizzazioni, i vertici ministeriali; hanno una linea geoconomica molto importante qualunque cosa se ne possa pensare, la valorizzazione crescente delle valute nazionali negli scambi globali; e hanno un disegno geopolitico, il cosiddetto ‘mondo multipolare’, ovvero un ordine basato sul cosiddetto ‘multipolarismo’ (noi abbiamo qualche dubbio sulla piena validità di questo concetto) e sulla carta delle Nazioni Unite. Non è casuale che incontri e summit siano fatti politicamente significativi.

Non sono dunque né un blocco né un forum. Per comprendere questa realtà bisogna quindi elaborare una nuova figura geopolitica. Si potrebbe affermare che i BRICS costituiscono una ‘costellazione’ che riunisce paesi ed economie che possono essere vicine ma anche piuttosto lontane tra di loro. Sono una ‘costellazione’ in cui alcune stelle sono molto vicine, ma altre stelle sono lontane fra di loro. Tutte le stelle della costellazione, comunque, si spostano anni luce dopo anni luce nell’espansione del continuum: la ‘costellazione BRICS’ per l’appunto. I BRICS vedono insieme stelle in realtà lontane, ad esempio Egitto e Etiopia; stelle che possono avvicinarsi e che forse si stanno avvicinando, India e Cina. Stelle che attualmente sono alquanto vicine e si avvicinano sempre di più: Cina e Russia. E stelle nascoste sotto la coltre di splendenti nebulose, l’Arabia saudita.

LA COMPLESSA ``QUASI-ALLEANZA`` SINO-RUSSA

Andiamo quindi avanti con questa figura della ‘costellazione’. I BRICS possono essere visti come una costellazione geopolitica che ha al centro un sistema di relazioni che possiamo delineare come un ‘asse di stabilità’, ovvero Cina e Russia. Le quali, lo ricordiamo, sono rispettivamente la più importante economia manifatturiera del mondo, e la più rilevante economia detentrice di materie prime e di risorse del pianeta. E’ uno strano ‘asse di stabilità’ e di crescita al quale gli specialisti trovano complicato persino trovargli una definizione valida. Un analista attento alla ‘transizione sistemica al multipolarismo’ definisce la relazione Cina-Russia come l’‘Entente sinorusso’ (probabilmente ricordando l’’Entente Cordiale’ anglofrancese prima della prima guerra mondiale e dopo la crisi di Fashoda). Ma anche questa definizione appare incongrua: Cina e Russia sono ‘partner’ strategici. Fanno spessissimo manovre militari congiunte e si coordinano a livello strategico e geopolitico. Ma non hanno alcun patto militare di alleanza con reciproche garanzie di assistenza, anche se in certe fasi recenti si è parlato dell’esistenza di accordi politici ‘riservati’ fra Pechino e Mosca in caso di pericolo esistenziale per uno dei due paesi. Comunque hanno sempre più strette relazioni di difesa e militari, con manovre congiunte, incontri e collaborazioni a livello militare e quant’altro a livello di intelligence. Non sono una alleanza ma non sono neppure meri partner.

‘Partner senza limiti’ è un concetto di propaganda: i limiti ovviamente ci sono, ma sono gestiti politicamente. Cina e Russia non sono ‘alleati’ ma non sono neppure ‘non alleati’: si potrebbe dire efficacemente che Cina e Russia in effetti siano ‘quasi-alleati’, il loro rapporto è definibile una ‘quasi-alleanza’. Una ‘quasi-alleanza’ che costituisce un problema non irrilevante per la principale potenza marittima, almeno se si resta ingabbiati nei paradigmi della geopolitica classica del potere navale e dell’’Heartland-Rimland’. La relazione Cina-Russia, secondo queste letture, costituisce precisamente quella relazione che la potenza marittima principale dovrebbe cercare di evitare di incontrare o di trovarsi di fronte. Ma la geopolitica classica dà sufficiente conto della realtà strategiche di un mondo fortemente interconnesso e nonostante tutto ‘globalizzato’?

La geopolitica del mondo globale, in effetti, costituisce una realtà ostica per i parametri di quella classica: ma comunque una relazione forte fra la più importante economia manifatturiera del mondo, capace di produrre navi e sottomarini in quantità enorme e ad una velocità sorprendente, e la massima economia in fatto di risorse e materie prime e con una forte base tecnologica in campo militare, costituisce, al di là dei parametri classici, ovvero anche dentro la logica di un mondo ‘globalizzato’, un problema enorme per l’economia ex dominante in campo manifatturiero e petrolifero. In particolare se quest’ultima interpreta la situazione con i paradigmi sbagliati.

Sia come sia, i BRICS, avendo nel loro cuore, questo ‘asse di stabilità’ e di crescita, ovvero la ‘quasi-alleanza’ sino-russa, sono l’ambito di espansione di quella relazione fra due economie di quel tipo. Qui sorge spontanea una domanda chiave. Ma Cina e Russia come sono messe tra di loro, quali fattori di coesione e di conflitto attraversano la loro relazione?

Che i BRICS non siano un blocco è del tutto evidente: gli attori membri o partners dei BRICS sono su un piano più o meno ‘paritario’ o quasi paritario; le differenziazioni fra le loro economie ed anche i valori civili di riferimento sono tantissime, come le relative contraddizioni; parlare di ‘blocco BRICS’ o anche solamente di ‘blocco eurasiatico’ è estremamente ardito, sbagliato e fuori luogo dal punto di vista del sistema delle relazioni internazionali.

CINA E RUSSIA, UN PO' DI STORIA

La cosa è parecchio intrigante: Cina e Russia infatti, per motivi storici e per ragioni geografico-demografiche, non dovrebbero avere così ottimi rapporti. Quando entrambi i paesi erano eretti da regimi comunisti ‘duri e puri’, il regime staliniano e post-staliniano in Russia, il regime maoista in Cina, il rapporto Mosca-Pechino degenerò in una vera e propria conflittualità non solo ideologica, per le diverse interpretazioni del ‘marxismo-leninismo’, ma in una conflittualità politico-strategica e militare (gli scontri sull’Ussuri e l minaccia sovietica di bombardare gli impianti nucleari cinesi di Lop Nor). Fu proprio grazie a questa fortissima conflittualità che Henry Kissinger potè dispiegare la sua strategia di riconoscimento e di ‘ingaggio’ della Repubblica Popolare. Culminata nel viaggio a Pechino dell’allora segretario di stato (via Pakistan, particolare non secondario), prima, e in quello storico del presidente Richard Nixon. Con la firma dei ‘comunicati congiunti’ sino-americani con i quali gli Stati Uniti riconoscevano Pechino come ‘unica Cina’, la ‘one China policy’, pilastro ed architrave fondamentale dei rapporti sino-americani (questo è un aspetto che dovrebbe essere tenuto bene a mente!). Con il passaggio della Cina nel campo dei nemici dichiarati e organizzati del blocco sovietico, in coordinamento con gli Stati Uniti, la storia mondiale ebbe una svolta drastica.

Cina e Russia hanno anche altri motivi storici per non essere strettissime alleate: le invasioni della Cina, prima delle guerre dell’oppio, sono sempre provenute dai confini settentrionali dell’Impero, ovvero dai territorio oggi sotto la sovranità russa. La Grande Muraglia è la grandissima testimonianza di questi fatti e timori storici: basta ricordare che la dinastia Ming di fatto evitò espansioni e crescite della Cina via oltremare e arretrò sul fronte delle istituzioni di mercato che erano arrivate ad un livello, nell’epoca pre-dinastia Yuan, interessante, proprio spinta dai timori storici di ulteriori invasioni dal Nord, dopo quelle mongole.

Poi, come accennavamo, c’è la geografia alleata con la demografia: la Russia asiatica è un territorio immenso larghissimamente disabitato. I cinesi, nonostante le tendenze demografiche per ora declinanti, costituiscono comunque una popolazione immensa. E i cinesi all’estero, come diaspora, sono comunità sociali estremamente mercantili. Insomma la Russia asiatica la Siberia, è un forte fattore di attrazione per i cinesi del nord: una ‘sinizzazione’ di fatto del Nord dell’Asia è un processo storico. Infine ci sono i rapporti economici: a livello strutturale Cina e Russia hanno economie largamente interdipendenti, ma in termini di PIL calcolato ai valori di cambio sono due pesi molto diversi, rispettivamente un peso massimo e un peso piuma. Questa lettura è valida se si fanno i calcoli in termini di PIL ai valori di cambio, ma questo è un calcolo, dal punto di vista geopolitico, fuorviante e discutibile.

I PERCHÈ DI UNA ``QUASI-ALLEANZA``

Nonostante tutto ciò, comunque, fattori storici e fattori geografico-demografici, Cina e Russia hanno creato ormai una ‘quasi-alleanza’. Perché? Forse basta un nome. Stati Uniti. Le cose ovviamente sono un pochino più complesse. Certamente però la strategia e l’approccio americano orientato alla conflittualità estrema (‘concorrenza estrema’ è stata definita, in modo ipocrita da un esponente dell’amministrazione Biden) contro sia la Russia sia la Cina, prima attuata implicitamente, poi sbandierata ai quattro venti, ha potentemente favorito la nascita della ‘quasi-alleanza’.

In realtà, al di là della ‘concorrenza estrema’ di una certa logica americana, la Russia ha con gli Stati Uniti un rapporto oggettivamente di forte rivalità: in primo luogo abbiamo una forte rivalità strategica: entrambe le nazioni sono le massime potenze militari-nucleari del mondo. Poi abbiamo la rivalità energetica, Russia e Stati Uniti sono entrambe grandi produttrici di petrolio e di gas che possono estrarre a differenti livelli di costo di produzione, e ciò determina una conflitto di interessi sul mercato mondiale dell’energia. C’è poi una nuova rivalità ideologica essendo entrambe tendenzialmente portatrici di modelli politici differenti.

Ma specialmente ci sono gli approcci diversi nelle relazioni mondiali. La Russia vuole avere un posto importante nel mondo; e ha visto l’allargamento della NATO e le partnership americane ed europee in Asia centrale come una vera e propria strategia dell’accerchiamento Usa. E mentre la Russia vedeva crescere i fattori di rivalità e di accerchiamento con gli Stati Uniti, la Cina guardava con crescente sospetto la strategia Usa nei suoi confronti. Iniziata con il ‘Pivot to Asia’ del secondo periodo dell’amministrazione Obama. Con il vicesegretario di stato Kurt Campbell. La strategia prevedeva rapporti con la Cina ma allo stesso tempo si proponeva la creazione di una rete di alleanze economiche, la ‘Partnership transpacifica’, TPP, in particolare, e strategiche, il QUAD, aventi come oggetto il ‘contenimento’ armato nei confronti della Cina, ovvero l’esclusione della Cina dagli scambi più importanti.

La Cina, oggettivamente, ovvero al di là delle sue effettive scelte e strategie geopolitiche (e al di là anche delle sue contraddizioni), costituisce un competitore fortissimo per le posizioni americane e quindi un potenziale ‘rivale’: un competitore in forte crescita. Una volta che Pechino avesse raggiunto un reddito medio procapite comparabile con quello degli Stati Uniti, sarebbe stata, oggettivamente, con la sua mera forza di inerzia politica, imbattibile. Ma leggere ed affrontare questo processo storico, inevitabile peraltro in un assetto di capitalismo produttivo mondiale, con la logica del conflitto sistemico, ovvero della ‘trappola di Tucidide’, invece che con quello della cooperazione intelligente ovvero fortemente e correttamente competitiva nonché collegata a riforme e al rafforzamento delle proprie posizioni civili nazionali, è stata una scelta sistemica, secondo noi, fortemente deleteria: semplicemente ha spinto la Cina e la Russia ad andare assieme nel nome dell’avversario comune, gli Stati Uniti e il blocco americano.

Eppure, come dicevamo, gli Stati Uniti avevano un doppio strumento per mantenere una loro posizione centrale nel mondo in modo molto efficace: da un lato, come abbiamo accennato, costruire la relazione con Pechino in modo intelligentemente cooperativo (ovvero cooperando con Pechino per la governance globale e rafforzarsi all’interno, introducendo cambiamenti nel proprio assetto capitalistico). Dall’altro lato, costruendo un rapporto nord-atlantico equilibrato, con una Europa forte e unita, sotto una robusta leadership politica e con una base economica salda e competitiva. In tal modo lo stesso rapporto dell’Europa con la Russia sarebbe risultato interessante e avrebbe ‘diluito’ la relazione sino-russa ovviamente in un quadro di cooperazione ‘plurale’ globale più ampio. Si potrebbe dire che una carta di stile kissingeriano-innovativo verso Mosca, nel quadro di un mondo ‘globalizzato’ sarebbe stata una relazione euro-russa costruita nell’ambito di uno stretto ma equilibrato rapporto nord-atlantico.

Ma così non è stato (*): Washington ha scelto la via della conflittualità, prima implicita, poi dichiarata. Che potrebbe essere chiamata, la via del ‘contenimento armato multiplo’: non semplice contenimento politico, e contro più ‘avversari’, Cina e Russia in primo luogo. Ma ciò ha spinto Cina e Russia a quella ‘quasi-alleanza’ che oggi costituisce il centro della costellazione BRICS. Una ‘quasi-alleanza’ che è caratterizzata dalla ‘geopolitica della complementarietà’. Cina e Russia sono economicamente interdipendenti e complementari: una agisce con l’influenza e la penetrazione economica capitalistica; l’altra con i rapporti militari; una agisce in particolare oggi verso Riad, l’altra verso Teheran. Una costruisce una relazione forte con i paesi del Golfo sul piano finanziario e capitalistico, l’altra costruisce una relazione di cooperazione di difesa con l’Iran, ovviamente dopo che Mosca ha messo su la relazione dell’OPEC Plus con Riad e Pechino ha siglato un accordo decennale di cooperazione economica con Teheran: complementarietà dispiegata e coordinamento strategico.

LA ``GEOPOLITICA DELLA COMPLEMENTARIETÀ``: L'ASIA

L’ambito più interessante di questa ‘geopolitica della complementarietà’ è l’Asia, ovvero la geopolitica asiatica. Gli Stati Uniti, con la loro logica binaria, vorrebbero costruire una ‘Asia bipolare’. Da un lato il campo delle democrazie pro-occidentali (o che a Washington vedono come ineluttabilmente filo-occidentali), dall’altro quello sino-russo. Ma moltissimi paesi asiatici, anche alleati storici di Washington, un solo esempio Singapore, o semplicemente ‘multi-allineati’, l’India, o ancora il paese chiave del sud est asiatico, l’Indonesia, non sono interessanti a questi artifici ‘bipolaristici’.

Delhi in particolare, per tantissime ragioni, vuole mantenersi in una posizione di amicizia con tutti. E non è interessata a diventare la prima linea di un confronto strategico duro contro la Cina. Ha forti fattori di rivalità strategica e una lunga storia di controversie di frontiera con Pechino. Ma preferisce di gran lunga avere flessibilità e rapporti buoni con la Cina, fondati su un chiaro approccio per le questioni di confine e su un ‘bilanciamento’ con l’alleanza con Mosca, con relazioni strettissime con Tokyo (e, se possibile, con Washington). L’India, con il suo ‘multi-allineamento’ figlio del suo storico e tradizionale ‘non allineamento’ preferisce l’approccio asiatico della Russia, una ‘Asia plurale’ per così dire.

E Mosca ne approfitta per tessere la sua tela del RIC, un acronimo che riunisce assieme Russia, India, Cina e che potrebbe diventare uno dei gioielli più importanti della diplomazia neo-primakoviana di S. Lavrov. Mosca infatti punta a costruire una relazione a tre al centro della costellazione BRICS, Cina-India-Russia. Si potrebbe dire: non solo CHINDIA ma RIC. E ciò costituisce una sfida politica per una Washington tutta orientata, purtroppo, verso gli schemi amico/nemico.

Gli Stati Uniti si vedono come i leader di uno schieramento anche asiatico ideologicamente definito e militarmente strutturato assieme alla NATO. La Russia invece si vede come il ‘centro’ di mediazione di un sistema geopolitico continentale con tanti ‘poli’, ‘plurale’ per l’appunto. Paesi come India, Indonesia, Vietnam, ma chissà anche Corea del Sud prossimamente, si trovano, per tantissime ragioni che esamineremo in un’altra Nota, allo stato dell’arte, più a loro agio nella flessibile costruzione russa piuttosto nella rigida costruzione americana. Ovviamente nessuno obbliga gli Stati Uniti ad aderire a queste logiche di conflittualità e di contenimento armato: gli effetti negativi per l’Occidente e per l’assetto mondiale di questo approccio devono essere comunque ben chiari.

TIRIAMO LE FILA

Morale: abbiamo una costellazione BRICS con al centro, per ora, il sistema ‘binario’ Cina-Russia. Un sistema che nelle intenzioni di Mosca dovrebbe diventare ‘trinario’, Cina-India-Russia, per essere davvero il fulcro di un mondo ‘an-americano’. Questa almeno è la logica russa (e cinese).

La domanda a questo punto dovrebbe essere: ma i BRICS nè blocco né mero forum, ma ‘costellazione’ possono andare avanti senza schiantarsi nelle loro contraddizioni? La risposta ovviamente è complessa: molto sommariamente si può dire che un insieme come i BRICS è flessibile e ‘plurale’ come impone un mondo alquanto interconnesso, (al contrario del blocco americano, che è rigido e indifferente agli interessi diversificati delle sue componenti), ma cionondimeno non è detto che riesca gestire le sue contraddizioni e frizioni. Finora Cina e Russia ci sono riuscite. Ad esempio. Con gli allargamenti, ad esempio, che accadrà? BRICS e ‘quasi-alleanza’ sino-russa come affronteranno le nuove, ulteriori serissime sfide del ‘conflitto globale’?

E poi l’Occidente che cosa dovrebbe fare? Anche perché dietro il ‘sistema binario’, o ‘’quasi-alleanza’ sino-russa, oltre la nebulosa della transizione storica, forse si inizia a scorgere, come abbiamo accennato, il sistema ‘trinario’ caro alla diplomazia neo-primakoviana; e si potrebbe addirittura intravedere un altro sistema geopolitico, ovvero la potenziale alleanza fra Confucio e Maometto, fra Cina e mondo dell’Islam, l’alleanza ipotizzata da una grande politologo, S. Huntington.

Una sola piccola recentissima notizia al riguardo: pochi giorni or sono Pechino ha raccolto 2 miliardi di dollari con l’emissione, in Arabia Saudita, di titoli di stato a scadenza tre-cinque anni. Allo stesso tasso (con una minima differenza) dei tassi FED. Per questa emissione Pechino ha ricevuto offerte per 40 miliardi di dollari e passa.

La cosa molto significativa è che come sede di negoziazione dell’emissione Pechino non abbia scelto Londra, o New York, come sarebbe stato ovvio, ma l’Arabia Saudita. Scelta evidentemente interessante dal punto di vista geopolitico e geo-economico. In realtà l’intera operazione finanziaria della Repubblica Popolare, ancorché ‘limitata’ in termini di volume di dollari, merita una particolare attenzione. Politica, geopolitica, finanziaria, globale. Ma operazione e rapporti Cina-mondo islamico sono proprio un’altra storia.

 

(*): Alcuni analisti pensano, con troppi condizionali peraltro, ad una diplomazia energetica molto creativa, con la quale D. Trump potrebbe un po’ ‘attrarre’ la Russia. Secondo noi, sono in larga parte solo analisi immaginifiche, e per la parte realistica di esse, le cose potrebbero andare addirittura in senso contrario all’egemonia anche energetica Usa. Questa almeno è la nostra opinione.

Secondo noi, Gli Stati Uniti dovrebbero cambiare radicalmente ‘paradigma’ e avviare una innovativa cooperazione ‘intelligente’ con Pechino (ovvero cooperazione e dialogo assieme ad un fortissimo rafforzamento interno e relative riforme economiche e sociali), con la fine della guerra politica e tecnologica sino-americana, con un dialogo per Taiwan, e senza indulgere in un ‘cuneo’ fra Cina e Russia. Come ho detto, Cina e Russia hanno molte frizioni (ad esempio, recentemente le tariffe russe su import dalla Cina di componenti di mobili) ma hanno imparato, per ora, a gestire queste frizioni. Ma un ‘cuneo’ appare, nell’attuale cornice di ‘Grande conflitto globale’ fra Stati Uniti e Cina/Russia, impossibile. D. Trump dice di volere ‘la pace’, ma senza il ‘cambio di paradigma’ a Washington (ovviamente assieme a diverse altre condizioni che dovrebbero albergare a Mosca, ma qui era importante annotare sommariamente solo quelle in quel di Washington), sarà una cosa impossibile, o al massimo, una faccenda molto provvisoria dalle conseguenze molto ‘contraddittorie’.

Una cosa però è doverosa aggiungerla: se gli Stati Uniti attuassero il ‘cambio di paradigma’ che auspichiamo, dopo un ovvio periodo di travaglio, ne uscirebbero molto ma molto rafforzati…….

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