Oltre DeepSeek, Appuntamento a Riad, In Rotta verso l’Ignoto

Abbiamo parlato spesso dei processi di integrazione capitalistici in East Asia o che vedono l’East Asia al centro. Ma l’integrazione capitalistica va di pari passo con i processi schumpeteriani di innovazione capitalistica. Come il caso ‘DeepSeek’. Che ha ‘sconvolto’ gli Stati Uniti e il regime di Wall Street, causando un crollo del valore delle azioni delle grandi società tecnologiche americana.

OLTRE DEEPSEEK

Abbiamo parlato spesso dei processi di integrazione capitalistici in East Asia o che vedono l’East Asia al centro. Ma l’integrazione capitalistica va di pari passo con i processi schumpeteriani di innovazione capitalistica. Come il caso ‘DeepSeek’. Che ha ‘sconvolto’ gli Stati Uniti e il regime di Wall Street, causando un crollo del valore delle azioni delle grandi società tecnologiche americana. Qualche osservatore un po’ semplicistico ha addirittura parlato di una operazione di Pechino di attacco al mercato azionario americano. Teoria ‘complottista’ come si usa dire oggi: ovvero dietrologia senza prove. E’ comunque intrigante che l’annuncio di ‘DeepSeek’ sia arrivato 24 ore dopo l’annuncio del neopresidente americano di un mega-piano di 500 miliardi di dollari per l’IA Usa. Colpo su colpo verrebbe da dire.

La realtà, anche senza troppo enfatizzare ‘DeepSeek’, è quella mostrata da un importante think tank australiano, l’ASPI, con il suo ‘tracker’ tecnologico. La Cina sta contestando il passato primato tecnologico mondiale degli Stati Uniti in moltissimi settori. Non bisogna mai prendere questi indici come oro colato, ma è ormai evidente che la Repubblica Popolare si stia dando moltissimo da fare in ricerca e sviluppo.

Il punto è semplicissimo: la diplomazia coercitiva americana, la guerre delle sanzioni, tecnologiche, economiche contro Pechino, come era facilmente prevedibile (ma come evidentemente non era stato previsto da A.Blinken, J.Sullivan, J.Yellen…e da Mario Draghi), stanno dando una poderosa spinta alla Cina per fare salti tecnologici. Spinta per innovazioni, per il cambiamento, per un ri-orientamento economico. Si dovrebbe aver ben chiaro, a questo punto, che questo è solamente l’inizio della partita.

Se e quando la Cina decidesse di liberare ancora di più, in uno spazio ben regolato, gli ‘animal spirits’ del capitalismo innovatore, ad esempio con l’adesione al Trattato Transpacifico con le sue regole e standard di mercato; o quando la Cina implementerà un programma di colonizzazione spaziale, a quel punto saremmo davvero nel pieno della Grande partita tecnologica e delle innovazioni capitalistiche da parte cinese.

LE DUE OPZIONI DEGLI STATI UNITI

Affermare che, se non si reagisce assertivamente ora, nel prossimo futuro la Cina imporrà standard ed imprese cinesi dappertutto, a tutto il mondo, a tutto l’Occidente, secondo noi è semplicemente una castroneria. L’integrazione capitalistica a livello planetario, per sua stessa natura, non può che allargarsi dappertutto. Mentre la Cina affronterà l’’inverno demografico’, altre grandi aree del mondo saranno sotto la sferza di nuovi processi capitalistici. L’India, l’Africa. Per non parlare ovviamente del sud est asiatico già completamente dentro i processi capitalistici odierni.

La Cina ha alcuni rilevanti vantaggi competitivi ovviamente: in particolare una forza lavoro e un capitale umano eccezionali. Ma proprio per gli andamenti demografici, altri continenti, seppure con un capitale umano e una forza lavoro meno preparate complessivamente rispetto a quella cinese, avranno comunque forze economica sufficiente per competere bene con il capitale cinese. È la stessa integrazione capitalistica allargata a livello planetario che si allunga in queste regioni del mondo, oltre e dopo la Cina, ad imporlo. La Cina non sarà sola nel capitalismo planetario (‘neo-globale’) prossimo venturo: India, Africa ed altri le contesteranno pacificamente i primati. Se tutto ciò avverrà dentro un assetto efficace di governo del capitalismo, tutto ciò porterà enormi vantaggi a tutti. La competizione pacifica e civile (ben regolata, ovvero dentro un quadro di cooperazione e concertazione) è da sempre un motore eccezionale per le società umane. E comunque ci pare sciocco pensare che la Cina potrà imporre le sue regole: le potrà, se mai, proporre nel quadro di un costante dialogo globale. E ciò non grazie all’azione attuale americano; ma nonostante codesta strategia ‘imperiale’ americano.

Quindi, dal nostro punto di vista, gli Stati Uniti continuano ad avere sostanzialmente due opzioni generali verso la Cina, opzione che possono essere però declinate in diversi approcci e strategie anche piuttosto diverse fra loro.

O gli Stati Uniti continuano a vedere il ‘Regno di mezzo’ come un rivale sistemico, strategico, storico, da cercare i rinchiudere o almeno da delimitarne l’influenza coercitivamente, facendo però in tal modo esplodere le proprie contraddizioni ‘imperiali’ (dell’’Impero Usa’) nella migliore delle ipotesi, inseguendo magari l’implausibile (secondo noi, e secondo molti acuti osservatori) ipotesi di un ‘cuneo’ fra Russia e Cina. Oppure, nelle ipotesi peggiori, cadendo nella spirale senza fine della ‘Trappola di Tucidide’ (che, ricordiamo sommessamente, finì con la sconfitta di Atene), fino all’abisso del conflitto militare aperto, una guerra ‘non vincibile’, dicono molti accorti osservatori.

Oppure, gli Stati Uniti prendono (finalmente, chiosiamo noi) con decisione e convinzione la via del dialogo con il mondo cinese, coniugandola però con ‘l’auto-rafforzamento’. Ma l’auto-rafforzamento interno richiede enormi riforme strutturali per la società e il capitalismo nordamericani. Richiede, ad esempio, una drastica diminuzione delle spese militare, affinché ci siano adeguate risorse per le infrastrutture civili e per l’istruzione di massa, senza far saltare il debito federale; richiede, ad esempio, una drastica riforma del sistema sanitario, estremamente costoso in termini di Pil, e ben poco efficace in termini di aspettative di vita. Richiede, insomma, moltissimi cambiamenti anche radicali. Tanto per dire.

MA GLI STATI UNITI?

Ciò è plausibile per gli Stati Uniti, di oggi? Washington può, in termini di sistema politico, ovvero sistema dei partiti, sistema dei media, sistema degli interessi, mondo degli apparati, nei termini sostanzialmente di capacità di governo e di autonomia del ‘politico’, affermare con forza un qualche approccio di dialogo con il mondo cinese più auto-rafforzamento? La nostra risposta sommaria è Si; è plausibilissimo.

Ma paradossalmente, (siamo, come è facile intuire, nel regno dell’’astuzia della storia’ del Filosofo), è possibilissimo a nostro avviso soltanto dopo il collasso dell’egemonia mondiale del dollaro, ovvero con il crollo del sistema della finanza improduttiva: la finanza è un fattore chiave per i processi capitalistici, ma un sistema finanziario nelle mani di un ‘superCartello’ che allo stesso tempo controlla i ‘mercati’ finanziari stessi e le imprese produttive e che è costantemente rifornito di risorse a costo zero dalla Banca centrale chiave, la FED, in regime di ‘azzardo morale’, non è una roba da sistema capitalistico, è qualcosa di molto diverso.

Con quel crollo, gli Stati Uniti dovrebbero poter liberare le loro, (enormi), potenzialità produttive e dare filo da torcere alla Cina o a chiunque altro. Pacificamente. Civilmente. Da questo punto di vista, Trump, la sua ‘Greater Amerika’ non è altro che un passaggio della ‘crisi organica’ di una civiltà. I neo-protezionismi trumpiani, la ‘post-globalizzazione’ stile Donald, e i programmi di spesa a piè di lista assai probabilmente aumenteranno ulteriormente contraddizioni, inflazione, indebolimento delle posizioni americane; l’idea di far pagare tutto ciò agli ‘alleati’, in particolare ad Europa e Anglosfera, mediante la loro ‘multi-vampirizzazione’ (al posto dell’’auto-rafforzamento’) non fa che far implodere ulteriormente quei sistemi politico-economici (si potrebbe affermare che siamo di fronte a nient’altro che il ‘Dilemma di Triffin’ in chiave di relazioni geopolitiche Stati Uniti-‘alleati’). Insomma per quello che possiamo ad oggi intendere, il Trump2 è un ulteriore critico passaggio della ‘crisi organica’ di una civiltà (o forse parte della sua autobiografia). Con alcuni punti di contraddizione molto interessanti, come i vari e ambigui tentativi di pace del ‘pacificatore’ Trump o come il disegno visionario del capitalista monopolista per eccellenza, il famoso Elon Musk.

RUBIO IN CENTROAMERICA

Nel Trump n.2 convivono, per ora, sotto lo stesso tetto più anime, più linee, più fazioni dell’’Impero’. Come ha notato un osservatore acuto, c’è la fazione che prende atto del cosiddetto ‘mondo multipolare’ e quindi della necessità del dialogo con tutti gli attori globali, Cina e Russia in testa, senza idee di ‘cuneo’. E c’è la fazione, o meglio le fazioni poiché in questo caso ci sono differenziazioni significative interne, che ancora alimenta l’illusione di riuscire a creare un ‘cuneo’ fra i due principali attori euroasiatici, Cina e Russia. Separando Mosca da Pechino, Ma tant’è. Insomma nel Trump dissociato convivono almeno due linee riguardanti il panorama globale. Allo stesso modo convivono due linee concernenti l’ex cortile di casa, l’America Latina.

C’è Marco Rubio, segretario di stato ed ex senatore della Florida, seguace della ‘linea Abrams’ (o ‘Bolton’), ferocemente contraria a qualsiasi governo o regime che abbia impostazioni ‘autonome’ da Washington nell’emisfero americano e che tiene un pallottoliere per segnare i punti nella rivalità geopolitica sino-americana relativa all’America Latina. Ne è un esempio la recentissima missione del segretario di stato in alcuni paesi dell’America centrale. In particolare a Panama dove Rubio ha convinto l’attuale presidente ad abbandonare la ‘Via della Seta’ made in Cina. Un successo politico, secondo i fautori della linea Rubio. Qualche osservatore in realtà ipotizza che non si tratterebbe proprio di vero successo. Andando a guardare tra i progetti infrastrutturali messi nel cassetto si scopre che nella Via della seta per Panama ci sarebbero tre progetti di infrastrutture: un quarto ponte sul Canale, progetto già in fase di costruzione; un progetto di sistema di trasporto per Panama city, ma è un piano giapponese; e infine la linea di alta velocità fra Panama city e la città di confine di David, progetto cinese ma che però è fermo da cinque anni. Insomma non ci sarebbe nulla da interrompere di nuovo, ‘la vittoria di Rubio – scrive – a Panama era pura propaganda’. Appunto la logica della geopolitica del pallottoliere.

E poi c’è Richard Grenell, inviato speciale del neopresidente, che è andato a far visita, a palazzo Miraflores, niente meno che all’arcinemico di Rubio, il presidente socialista venezuelano Nikolas Maduro. Linea Rubio-Abrams-Bolton, da un lato: ricordiamo che E. Abrams fu funzionario della prima amministrazione Trump e cosa più importante, seguace del ‘Project for the New American Century’, il nucleo dell’ideologia neocon, nonché da sempre specialista per così dire di America Latina fin dai tempi dell’affaire Iran-Contras !; mentre John Bolton, altro personaggio del club neocon, già consigliere per la sicurezza nazionale proprio di Trump prima e poi suo acerrimo nemico (da quando, se ricordiamo bene, lo stesso Trump nel suo primo mandato gli bloccò all’ultimo istante un attacco americano all’Iran…). Linea Grenell dall’altro lato. Due anime sotto lo stesso tetto del Trump”, dunque.

Poliziotto buono/poliziotto cattivo o due fazioni ijn lotta feroce fra di loro all’interno della stessa amministrazione? Con Elon Musk ad esempio come esponente della fazione ‘dialogante’?. Da questo punto di vista è molto interessante annotare come i media ‘ufficiali’ attacchino proprio Elon Musk. Tanto che qualcuno, se abbiamo letto bene, addirittura lo definirebbe ‘agente di influenza’ di Pechino. Con il potere capitalistico che Elon Musk ha e con gli strumenti al suo servizio, basta guardare gli assetti di controllo del suo impero, ci pare difficile che Musk prenda ordini di servizio da Pechino, o dai fondi finanziari cari alla FED, che hanno alcune quote delle sue società), o dal Pentagono che gli dà molte commesse (ovviamente fino a prova molto seria del contrario…). Piuttosto è molto interessante la reazione di alcuni media ‘ufficiali’ all’affaire Usaid. Guarda caso fatto esplodere proprio da Elon Musk.

Tutto ciò è alquanto intrigante poiché mostra come non solo ci siano più anime sotto il tetto del Trump2, ma come queste anime siano in lotta feroce fra di loro, dispiegata anche tra media ufficiali e affaire di regime.

APPUNTAMENTEO A RIAD

Ma intanto la storia va avanti. A grandi passi: il colloquio telefonico fra Trump e Putin; e la proposta di de-nuclearizzazione di Donald a Xi Jinping e allo stesso Vladimir Putin. Il mondo va avanti e prende la strada di Riad, capitale del regno saudita. Ci sarà tempo per capire l’evoluzione di questo processo diplomatico. Intanto registriamo il pieno sostegno della Cina a questa fase politica, ‘La Cina sostiene tutti gli sforzi per raggiungere la pace, dice il ministro degli esteri cinese’, scrive anzi titola, ad esempio, China Daily. Concetto ribadito da Wang Yi al G20.

Il punto che qui vogliamo evidenziare riguarda proprio il ruolo di Riad. Riad è il luogo dei primi importanti colloqui al massimo livello fra Russia e Stati Uniti dal febbraio del 2022. E funzionari del regno saudita danno il benvenuto agli incontri delle due delegazioni guidate da Sergei Lavrov e da Marco Rubio. In secondo luogo, Riad sarebbe pronta a mediare tra Stati Uniti e Iran sul delicatissimo dossier del nucleare iraniano.

Annotiamo la questione: l’Arabia saudita non solo è il luogo degli incontri russo-americani e forse anche del prossimo vertice Putin-Trump ma è pure la officiante degli incontri nonché potenziale mediatrice tra Washington e Teheran. Vale la pena osservare come prima del 2022, prima cioè dell’affermazione in Europa dello schieramento anti-Merkel, i due paesi europei principali, Germania e Francia, fossero protagonisti degli incontri sulla crisi ucraina, e l’’E3’, ovvero il formato Germania-Francia-Gran Bretagna, fosse al centro del processo negoziale fra Occidente e Iran.

Oggi quello ‘spazio di pace’, già proprio dell’Europa, è occupato da altri importanti attori: l’ASEAN ad esempio come fulcro dei processi di integrazione mondiali e pan-asiatici, e ora il regno saudita con i paesi del Golfo.

Ora tutti si stanno accorgendo dell’impatto disastroso a livello economico e geo-economico della guerra finanziaria occidentale (targata Blinken-Sullivan-Yellen e, purtroppo ..Draghi) ‘totale’ contro la Russia: sarebbe il caso di iniziare ad accorgersi per tempo anche degli impatti geopolitici globali delle scelte ‘euro-atlantiste’. Di fatto, Angela Merkel (ovvero l’Europa) è stata sostituita dal principe della corona M. BinSalman (ovvero il ‘blocco’ del Golfo) come ponte geopolitico. Un vero capolavoro strategico, anzi storico.

Ciò ha conseguenze anche per l’economia europea: una Europa non più ‘ponte’, anzi che nella funzione storica di ‘ponte’ si è fatta sostituire dal principe della corona (o/e dal presidente indonesiano o dal primo ministro giapponese) potrà difendere gli interessi dei cittadini europei, della borghesia produttiva europea, delle forze produttive europee. molto molto poco. E’ perfettamente inutile prendersela con J.D. Vance, vicepresidente degli Stati Uniti, una personalità di idee sicuramente discutibili, ma molto interessante e comunque il vice del presidente degli Stati Uniti!!!

Morale: l’amministrazione Trump prima o poi dovrà scegliere oltre le ipotesi (secondo noi) implausibili di rottura o indebolimento del legame Cina-Russia. Le notizie di queste ore, ad esempio, ci parlano di incontri fra S.Lavrov ministro egli esteri di Mosca, e Wang Yi, ministro degli esteri di Pechino nonché di una visita, nel corso dell’anno, del presidente russo a Pechino in occasione delle cerimonie cinesi per l’anniversario della vittoria sul Giappone e la fine della secoda guerra mondiale; infine di un ‘amichervole’ colloquio telefonico di oltre un’ora fra Vladimir Putine Xi Jinping.

Ma l’Europa, da parte sua, dovrà fare addirittura una ‘scelta vitale’, anzi esistenziale: vuole esistere ovvero difendere gli interessi del capitalismo europeo, delle classi medie e delle classi lavoratrici europee, oppure non intende più difendere il capitalismo europeo e delle sue forze sociali e quindi definitivamente passare a miglior vita?

IN ROTTA VERSO L'IGNOTO

Tutti noi abbiamo letto del discorso del vicepresidente americano J.D. Vance alla conferenza per la sicurezza di Monaco. E sulle sue dure critiche all’Europa. Critiche ribadite poi più volte nei giorni successivi in interventi sui ‘social’.

Discorso del vicepresidente a Monaco, intervento del segretario alla difesa americano sulla NATO e poi i colloqui di Riad fra due autorevolissime delegazioni americana e russa con l’esclusione dell’Europa e dei principali paesi europei dal tavolo principale per la pace in Ucraina: sono tutti fatti e interventi (e non solo i soli: basta ricordare interviste e dichiarazioni di Elon Musk oppure il rifiuto dell’incontro con il Cancelliere tedesco uscente da parte dello stesso vicepresidente Vance) che indicano una scelta precisa. L’amministrazione Trump e in particolare il presidente Donald Trump non sono minimamente simpatetici con l’Unione europea. E ciò rompe una relazione nordatlantica storica: a dir tutta la verità, anche l’amministrazione precedente aveva messo in campo molte decisione oggettivamente anti-europee ma, per ragioni estremamente discutibili, le cancellerie europee avevano ‘accettato’ quell’importazione. Con Trump sulla tolda di comando, siamo di fronte ad uno stile di governo ruvido e duro e ad una ideologia molto lontana delle agende di diritti e della transizione ecologica fatte proprie dalle cancellerie e dalle classi dirigenti europee, in sintonia con i ‘Democratici’ americani.

Vi è quindi in primissimo luogo una profonda differenza ‘ideologica’, di valori, identitaria fra l’Europa e il trumpismo, il Trump uno e due. Ma non c’è solo l’ideologia a mettersi di traverso fra le due sponde dell’Atlantico. Ci sono anche forti ragioni politiche. Trump vede nell’Unione europea (e nella NATO), fortezze dei suoi avversari, o meglio nemici politici: il ‘partito clintoniano’. Le cancellerie europee hanno per la maggior parte parteggiato apertamente con Joe Biden e Kamal Harris. Alcuni governi e partiti europei hanno dato un sostegno attivo, ad esempio con funzionari politici (sostegno ora derubricato ad iniziative personali), alla campagna elettorale della Harris: il governo e il partito laburista britannico. Le cancelliere europee hanno fatto propria non solo l’agenda di ‘diritti’ dei ‘Democratici’ americani, ma anche l’agenda di guerra dell’amministrazione Biden-Blinken. Trump non perdona queste scelte e vede quelle cancellerie e quei partiti come pronti ora a campagna di sabotaggio politico contro la sua amministrazione: cancellerie e UE. D’altra parte, il neopresidente, che ha una memoria di ferro in queste cose, si ricorda come durante il suo primo mandato, l’Europa di fatto si alleò con l’America di Barack Obama contro di lui. Allora però c’era una forte leadership politica tedesca ed europea che ora non esiste né come sostanza né come capacità: e quindi ora l’Europa si presenta molto molto più debole di fronte ad una amministrazione Trump che stavolta ha imparato qualche lezione di politica.

Insomma Trump vede UE (e NATO) come fortezze nemiche che quindi devono essere smantellate: le intemerate dei Grunen, ad esempio contro Elon Musk, certamente non aiutano in questo rapporto con la nuova Casa Bianca. D’altra parte con la nuova amministrazione, opinionisti, leader, esperti ‘euro-atlantisti’ (uno per tutti in Italia, Federico Fubini), guardano in modo alquanto critico verso Washington. Sul fronte della finanza e della moneta, della politica delle stablecoins e della difesa del risparmio europeo. Insomma, con il nuovo Trump, si disvela un baratro fra Stati Uniti e Europa, in particolare l’Europa renana.

Una fazione dell’’Impero’, come abbiamo detto, punta a cercare di mettere dissensi fra i due grandi attori euroasiatici, Cina e Russia: in effetti stiamo assistendo alla formazione di ben altro ‘cuneo’, anzi di un verso abisso fra le due sponde dell’Atlantico, Stati Uniti ed Europa.

Un baratro politico e geopolitico che costituisce ovviamente una occasione importante per la geopolitica globale. A Monaco, infatti, c’è stato un’altro discorso molto importante al quale però non è stata dedicata moltissima attenzione: quello del ministro degli esteri cinese, Wang Yi. Il quale non solo è il capo della diplomazia di Pechino con una rilevante esperienza alle spalle, ma è anche un altissimo dirigente del vertice del Partito comunista cinese. Insomma è un signore da ascoltare bene.

Che ha detto Wang Yi a Monaco? Tra le altre cose interessati, una cosa molto interessante. Dopo aver ricordato che la Cina ha contribuito l’anno scorso per il 30 per cento alla crescita mondiale con il suo Pil, Wang Yi lancia la bomba, ‘La Cina è disposta a far interagire la cooperazione della Belt and Road Iniziative (Nb, la Via della seta moderna) con il Global Gateway dell’UE in modo da potenziarsi a vicenda’. Via della seta assieme a Global Gateway, in origine immaginato da Bruxelles come alternativa al progetto cinese? Beh, la proposta è interessante, da un certo punto di vista.

Ci spieghiamo. Russia e Cina agiscono, secondo noi, con un significativo ‘coordinamento strategico’ su più fronti. Uno dei questi ci pare essere proprio l’Europa. Mosca colpisce duro l’Europa, per la sua gestione degli accordi di Minsk, per la sua politica di aiuto a Kiev, per la guerra economica alla Russia. Colpisce duro, molto duro, escludendo gli europei dal tavolo principale dei negoziati. Usando di fatto come leva politica proprio l’atteggiamento e la linea di Trump di forte ostilità nei confronti di UE e cancellerie europee.

Ma mentre Mosca fa la parte del cattivissimo, Pechino offre un braccio di conforto ad una Europa esausta dalla guerra con Mosca prima, ed ora dal confronto con Washington. Le due iniziative diverse ma ‘strategicamente convergenti’ insistono sulla faglia nordatlantica, in modo molto preciso. E con impatti potenzialmente rilevantissimi.

Un acuto e autorevole politologo, l’ex ambasciatore di Singapore alle Nazioni unite, K. Mahbubari, nonché autore di importanti saggi (uno per tutti, ‘L’Emisfero est asiatico’ edito dalla Bocconi con la prefazione in Italia del presidente Mario Monti), in un lungo ed articolato commento su Foreign Policy, parla dell’Europa ‘che deve fare l’impensabile’. Tre sono le ‘opzioni impensabili’ invidiate dal politologo e diplomatico di Singapore: l’abbandono della NATO da parte dell’Europa; un accordo ritrovato con la Russia en infine un ‘patto strategico’ con la Cina. Imperniato, guarda caso, su un sodalizio per gli investimenti in Africa. Spiega infatti che l’Europa ha un interesse essenziale, vitale, esistenziale allo sviluppo capitalistico del continente africano. Tra l’altro, per poter gestire bene gli enormi flussi migratori da quello continente: solo se le economie africane si svilupperanno adeguatamente, sarà possibile controllare quelle migrazioni, spiega. Quindi l’Europa non deve minimamente respingere i progetti di investimenti cinesi in Africa. Investimenti cinesi in Africa? Ovvero la Via della seta di Xi Jinping. Il diplomatico e politologo di Singapore quindi dice anzi scrive una cosa assai simile alla bomba lanciata a Monaco dal ministro degli Esteri cinese. Visto l’autorevolezza del politologo è importante capire la situazione.

La Cina lancia un amo potenzialmente importante verso l’Europa, una Europa sospinta da venti fortissimi anche a causa della pressione russa anche sul piano diplomatico. L’amo se non fosse accolto comporterebbe una ulteriore emarginazione dell’Europa; se fosse raccolto senza ‘intelligenza geopolitica’ rischierebbe di far fare acriticamente un enorme passo avanti al ‘coordinamento strategico sino-russo’. Che fare?

La risposta dovrebbe essere aprire una forte cooperazione con Pechino, e allo stesso tempo rafforzarsi internamente, ad esempio con un forte mercato interno e con un fortissimo programmi di investimenti innovativi. Insomma affrontare Pechino con la cooperazione, ma una cooperazione intelligente: la ‘cooperazione pacificamente competitiva’. In tal modo, facendosi rispettare un po’ anche dagli Stati Uniti.

L’Europa deve evitare due corni entrambi mortali: il primo, è una rottura con la Cina. L’economia europea è troppo in difficoltà per potersi permettere anche un confronto con la Cina. Non solo: in realtà una forte relazione cooperativa Cina-Europa farebbe bene a tutti nel sistema delle relazioni globali, anche agli Stati Uniti: l’Europa, ovvero una parte di Occidente, recupererebbe una funzione di ‘ponte’. Non delegando quindi questo ruolo decisivo ad esempio a Riad.
Ma c’è un secondo corno, altrettanto mortale. Ovvero farsi coinvolgere come Europa nuovamente in un conflitto politico con gli Stati Uniti della nuova amministrazione. J.D. Vance ha detto cose decisamente urticanti (e comunque farebbe bene anche a guardare in casa propria), ma ha detto anche cose importanti e valide. Non solo: Vance è un interlocutore importante e serio per qualsiasi attore globale con il quale dialogare. Quando il vicepresidente della Repubblica Popolare è arrivato a Washington per presenziare all’insediamento di Trump, ha incontrato proprio Vance. J.D. Vance ed Elon Musk possono diventare interlocutori importanti per una Europa renana consapevole di sé stessa.

IL PUNTO DIRIMENTE

Permettetemi di fare, a questo punto, una digressione puramente soggettiva. C’è infatti un altro punto secondo noi molto importante, anzi dirimente. L’Europa, come spiega l’ex ambasciatore di Singapore, a questo punto deve pensare e implementare l’impensabile. Dovrebbe, cioè per dirla on altre parole, fare politica. Deve, però, anche rafforzarsi a livello domestico: ad esempio costruendo un mercato interno più forte ed ampio, fondato sulla produttività in aumento e non sul debito in aumento, fondato su riforme di mercato e su un forte programma di investimenti pubblici (tecnologia e spazio), più mercato e più stato, senza dogmatismi.

E deve dotarsi di un efficace apparato di difesa autonomo integrato. Ciò, però, non significa aumento delle spese militari magari via aumento del debito pubblico. Significa, per essere rigorosi, coordinamento ed armonizzazione degli apparati nazionali di difesa del nucleo coeso di paesi dell’Eurozona in primo luogo, spendendo meglio, molto meglio le risorse attualmente destinate a livello nazionale alla difesa. Ciò per due ragioni di fondo: aumentare le spese in settori inefficienti è un errore colossale che non ha nulla a che vedere con una politica di sicurezza ma con gli interessi lobbistici meno produttivi. In secondo luogo, dovremmo sempre ricordare i fondamenti del progetto europeo. Un progetto di pace, un progetto politico: l’Europa deve fare politica innovatrice, non sostituire la politica con la forza. l’Europa, dopo le tragedie che abbiamo organizzato come europei, colonialismo, due guerre mondiali, diversi tipo di totalitarismo moderno di massa, deve dimostrare di aver imparato la durissima lezione della storia. E quindi innovare per avere più strumenti politici. Solo chi non conosce la storia drammatica di questo continente e non ha capacità politiche né intellettuali adeguate può dilettarsi a proporre, in sedi oltretutto istituzionali europee, aumenti di spesa militare a debito e uso dello strumento militare per fare politica. L’Europa deve, o dovrebbe pensare e implementare l’impensabile, non ripercorrere fuori tempo massimo le strade dell’imperialismo. Ma purtroppo all’Europa or manca una leadership con forte mandato popolare nei principali paesi. E.con una agenda liberale. Manca completamente, come si sta vedendo propri in questi giorni di conflitto ormai aperto fra l’Europa stessa e la nuova amministrazione americana.

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