Follia neocon e Giappone del dopo Abe
Le ‘Potenze Civili’ del G7, (ovvero quelle del Nord del pianeta), sono alla prova della guerra globale. Sono sotto tiro, in modo di!erente: il loro avvenire, il nostro e il futuro dell’Occidente (quello in versione democratico-liberale) dipenderà moltissimo da come Tokyo e Berlino saranno capaci di rispondere, adattarsi, innovare. Il Giappone è sotto shock per l’assassinio del leader politico nazionale più importante degli ultimi venti anni, l’ex primo ministro Shinzo Abe; la Germania da parte sua è alle prese con la gravissima crisi del gas e di Nord Stream (uno).
Una premessa storica è necessaria. Giappone e Germania hanno una vicenda per alcuni versi affine. Entrambe sono nazioni di ‘nuova industrializzazione’ rispetto alla Gran Bretagna. Sono dominati da culture politiche autoritarie, poi con la crisi drammatica degli Anni Venti-Trenta sono stati governati da regimi totalitari di destra, il ‘fascismo militare’ a Tokyo, il nazionalsocialismo hitleriano a Berlino. La durissima sconfitta di entrambi alleati nell’Asse, nella seconda guerra mondiale permise agli Stati Uniti di imporre a Giappone e Germania radicali riforme politiche, amministrative, economiche. Giappone e Germania, grazie a quelle riforme e poi ai cambiamenti nelle rispettive culture politiche (i cambiamenti sono stati più forti in Germania) divennero ‘democrazie sociali di mercato’ a livello interno, e ‘potenze civili’ a livello internazionale. Ovvero si trasformarono da potenze militariste aggressive in grandi nazioni con fortissime basi economiche e manifatturiere che preferivano a livello mondiale il potere economico e civile rispetto a quello militare e strategico e che subordinavano l’uso della forza e della minaccia della forza a livello interstatuale a regole di diritto internazionale e a scelte di istituzioni multilaterali. Preferivano lo stato della legge del liberalismo istituzionale anche a livello mondiale rispetto allo stato ‘di natura’ delle politiche di potenza o di superpotenza, westfaliane e post-westfaliane.
Nel dopoguerra comunque Giappone e Germania rimasero a lungo giganti economici ma nani politici. L’affermazione piena della globalizzazione, (anche se era una globalizzazione intrinsecamente ‘malata’ come quella pseudo-liberistica a guida Usa), cambiò in modo del tutto innovativo le carte della geopolitica mondiale: con quella globalizzazione, (seppure ‘malata’): con essa l’uso unilaterale del potere militare o comunque strategico è diventato terribilmente costoso e controproducente, mentre il potere monetario, istituzionale, civile, normativo si è trasformato nell’asset geopolitico chiave.
La geopolitica classica è così diventata geopolitica globale. Giappone e Germania si sono trovati a diventare anche giganti geopolitici, grandi attori mondiali. Ma Giappone e Germania a quel punto avevano un problema analogo: la vecchia potenza ‘tutrice’, gli Stati Uniti dell’’Impero liberale’, che aveva favorito potentemente questo processo ora non vedeva di buon occhio questa ricerca di innovazione geopolitica. Anzi gli Usa hanno iniziato a vedere questo rinnovato ruolo globale ‘civile’ delle due grandi democrazie sociali di mercato in modo antagonistico. La campagna politica americana contro il progetto Nord Stream due è stato solamente un esempio e un aspetto di questo crescente orientamento ‘anti-potenze civili’ degli Stati Uniti (democratici o repubblicani al potere alla Casa Bianca non faceva differenza). Ma Tokio e Berlino presentavano alcune differenze: la Germania aveva organizzato dietro di sé una Unione Europea e una moneta unica potenzialmente influentissime a livello globale, seguendo precisamente i termini di ‘potenza civile’; e aveva investito in ‘GeRussia’, Il Giappone da parte sua, aveva intrecciato legami fortissimi con le altre economie dell’Asia orientale, con un processo di integrazione strutturale irreversibile. La Germania, insomma, ha organizzato al suo fianco una grandissima economica avanzata, l’Ue, con una grande moneta, l’euro. Una situazione che consentiva, e consente, alla Germania di sfruttare moltissimo il suo nuovo ruolo globale ‘civile’. La relazione della Germania con la Russia, potenzialmente, proiettava questo nuovo potere globale monetario verso un grande spazio economico di portata storica. Ciò non è stato molto apprezzato a Washington, né dai Democratici che pur avrebbero dovuto comprendere le potenzialità politiche e geopolitiche di questo ruolo di Berlino; né dai Repubblicani.
La guerra di aggressione imperialistica della Russia all’Ucraina e la risposta americana di guerra economica all’aggressione di Mosca ha mutato il quadro geopolitica. Essa è giunta precisamente in un delicatissimo snodo storico e ha radicalmente scombussolato la cornice in primo luogo della Germania ma alla fine di entrambe le due ‘potenze civili’ del Nord..
Una brevissima parentesi. Per ‘potenze civili’ abbiamo inteso Giappone Germania, entrambi grandi paesi del Nord del mondo, ma in effetti ci sono altre ‘potenze civili’ (nel Sud del mondo), altrettanto interessanti ma diversissime per struttura politico-economica, per storia e per culture politiche: i grandi paesi latino americani e il Sudafrica ad esempio. Ma quella è tutta un’altra storia.
Dunque la guerra di aggressione russa ha sconvolto il quadro globale. Ora Giappone e Germania devono affrontare la più grande sfida alla loro identità, al loro ruolo, alle rispettive strategie di ‘potenze civili’. Due fatti in particolare in questi giorni, anzi in queste ore, sfidano i caratteri di potenza civile di Tokyo e di Berlino: l’assassinio di Shinzo Abe a Tokyo, la guerra di Nord Stream (uno) per quanto riguarda Berlino. La risposta di Giappone e Germania a questi fatti condizionerà per anni la traiettoria geopolitica di questi paesi, delle rispettive regioni geopolitiche di riferimento e dell’intero Occidente inteso come il G7.
Ma prima di parlare del Giappone alle prese con il Dopo-Abe, facciamo un’altra premessa, che riguarda i sistemi politici pluralistici. La sfida del Giappone (e della Germania, peraltro, ma di Berlino parleremo in un’altra occasione!), infatti per essere compresa adeguatamente deve essere inquadrata non solo nella storia recente di ‘potenza civile’, ma anche nella vicenda contemporanea dei sistemi politici pluralistici. Solo coì si può comprendere adeguatamente l’importanza dell’evoluzione delle ‘potenze civili’ per l’intero Occidente (nella sua variante democratico-liberale).
Le democrazie, o meglio i regimi politici costituzional-pluralistici (comprendendo nella categoria pure quelle che dovremo definire ‘partitocrazie’ o ‘fazionocrazie’), infatti, sono sedute sopra un vulcano in crescente attività, la crisi sociale. Le recentissime evoluzioni politiche in Francia (dove En March non ha una maggioranza assoluta dei seggi all’Assemblea nazionale), in Gran Bretagna (dove il primo ministro Boris Johnson è arrivato alla fine della sua vicenda politica di governo ma è ora in stand by in ttesa delle elezioni interne del partito conservatore), e in altri paesi europei sono solamente i primissimi segnali politici di questo travaglio sociale epocale. Non solo. Il fatto drammatico e pericoloso è che la crisi sociale è moltiplicata a dismisura dalle strategie, dalle politiche, dalla ‘follia’ neocon delle guerre infinite e dintorni. Questa è la tesi di questo pezzo. Andiamo per ordine.
I sistemi politici malfunzionano se sottoposti a fenomeni accentuati ed acuti di radicalizzazione e polarizzazione. Recentemente lo ha ribadito e ricordato anche una autorevole personalità nazionale. Le insorgenze anche quelle neo-populistiche, gli scontri interni, sono la forma odierna di questa polarizzazione acuta, o iper-polarizzazione.
Quella che definiamo ‘follia neocon’ ha caratteristiche precise: aumento delle spese militari (che sono spese poco produttive, specialmente in tempi di globalizzazione e di catene del valore, di covid e di sanità globale, di clima e di riscaldamento globale); aumento esponenziale dei debiti privati e pubblici, (il debito globale ormai è il 350 per cento dell’intero Pil mondiale rispetto al 200 per cento di pochi anni or sono), con incrementi della liquidità monetaria non convenzionale, il tutto implementato senza discipline fiscali e di bilancio; guerre infinite; delegittimazione delle istituzioni giuridiche, amministrative e di mercato. Tutti questi sono fattori che favoriscono e incentivano potentemente i processi di iper-polarizzazione (e di frammentazione/frantumazione) dei sistemi politici fortemente ‘competitivi’.
I necons, come si sa, hanno come stella polare, le guerre infinite. Ciò significa aumento delle spese militari, per la sicurezza nazionale, per la difesa, per gli appalti a contractors e dintorni. Ma ciò significa anche ‘scontro di civiltà’ per legittimare quelle guerre infinite. Scontro con l’Islam, scontro con il mondo sinico, scontro contro le ‘autocrazie’, ma sempre di scontri globali e di guerre infinite si tratta; e sempre di ‘scontro fra le civiltà’, variamente definite, si tratta.
Ma lo ‘scontro di civiltà’ si fonda ed alimenta, ovviamente, i disvalori ‘di superiorità’: ‘Noi siamo superiore agli Altri’, islamici, cinesi, autocratici e quant’altro. Ciò alimenta non solo lo scontro globale ma alimenta anche il ‘fronte interno’ al quale queste formule politiche sono rivolte: alimenta le fratture etno-culturali, razziali, confessionali. E definisce in termini ‘valoriali’ assoluti le altre fratture politiche e sociali. Queste fratture, questo tipo di faglie politiche e sociali, questa definizione ‘valoriate assoluta’ delle faglie politico-sociali può essere gestito, governato solamente con ‘democrazie di consenso’. Lo insegna la scienza politica moderna, lo insegnano un grande politologo norvegese (‘Cittadini, elezioni, partiti’) e un grande politologo olandese (‘Democrazie contemporanee’), in particolare. E invece i neocons non contenti di intensificare le fratture etneo-culturali, razziali, confessionali, tendono ad affermare principi maggioritari, ‘iper-maggioritari’, ovvero la cosa peggiore per governare e assorbire quel tipo di fratture. ‘Scontri di civiltà’ e iper-maggioritarismo: una combinazione pericolosissima. Come avrebbe dovuto insegnare la Yugoslavia. La crisi della federazione socialista yugoslava fu infatti innescata dalla pretesa serba (sella Serbia ‘socialista’) di legittimarsi sulla identità etnica e di governare con il principio di maggioranza: sloveni e croati non ci stavano a questa pretesa etnopopulistica e iper-maggioritaristica di Belgrado e fu il disastro. Iper-nazionalismo allo stesso tempo pseudosocialista e pseudoliberista, neopopulismo etnico, iper-maggioritarismo: la formula tragica del neoconservatorismo di destra e di sinistra. Ricorda qualcosa?
I neocons finanziano le crescenti spese di guerra e dintorni con l’aumento dei debiti senza alcuna disciplina fiscale. Le politiche di aumento del debito sono usate da un lato per soddisfare le necessità delle guerre infinite; e dall’altro lato per colmare i buchi della domanda effettiva provocati da bassi salari. Invece di affrontare la ‘questione sociale e salariale’ sempre più seria e sempre più grave, i neocons pensano di ‘distrarre’ le pubbliche opinioni da quella questione (le guerre infinite sono utilissime allo scopo!) e di incrementare ulteriormente debiti e deficit. Doppio risultato delle dottrine e delle politiche neocon: i salari rimangono bassi, i deficit e i debiti aumentano. Ma i debiti, prima o poi, devono essere, più o meno, ripagati. Lo aveva detto un paio di secoli or sono, un grande economista liberale classico. Ciò crea, o meglio aumenta l’incertezza: chi, quando, come verranno in parte pagati quei debiti?
Fino a quando funzionava il ‘deflattore salariale’ globale ovvero cinese, l’inflazione era a zero nonostante le fortissime immissioni di liquidità monetarie non convenzionali delle Banche centrali. Ma di per sé, gli incrementi di liquidità possono produrre inflazione: quando il deflettore è venuto meno, i prezzi hanno iniziato a schizzare all’insù.
Ma le guerre infinite, gli ‘scontri di civiltà’, la ‘concorrenza estrema’ (termine ipocrita con la quale viene chiamata la guerra geopolitica-economica con la Cina), rendono impossibili gli accordi politici globali indispensabili per il governo effettivo e innovativo delle Grandi crisi globali del nostro tempo, le pandemie, il clima, la salute, l’ambiente. E le crisi economiche, la riduzione di disuguaglianze, di incertezze, di insicurezze alla base di quelle crisi economiche.
Anzi le guerre infinite aumentano ulteriormente e consolidano ulteriormente le incertezze e le insicurezze che si dovrebbe ridurre e provocano forti shock di offerta che si sommano a quelli del covid. Covid, Dazi, Guerre tecnologiche. IPEF sono tutti fattori di shock di offerta. Aumento di incertezze e insicurezze e stagflazione: un’altro risultato brillante dei neocons. Incertezze/indebitamento massiccio e inflazione/stagflazione e futura Grande Depressione sono il prodotto dei neocons.
Tutto ciò è benzina per le polarizzazioni: le crisi non vengono risolte, (cosa impossibile senza accordi politici globali), anzi vengono aggravate; guerre, scontri, debiti, shock di offerta aumentano incertezze e insicurezze. Tutto ciò aggrava direttamente la crisi sociale, e aggrava indirettamente la crisi sociali grazie all’incapacità di governo. Le opinioni pubbliche si polarizzano per incapacità di governo, definizione valoriale ed etnica dei conflitti e perché alla fine il conflitto politico come ‘guerra civile’ è l’ultima risorsa politica facilmente disponibile per organizzare un pseudo-consenso. Il conflitto valoriale assoluto è come gli stati di assedio: chiunque, anche un perfetto incompetente, può pensare di governare con esso.
Oggi è arrivata la guerra mondiale, o globale, grazie all’aggressione imperialistica russa e alla guerra economica totale voluta dagli Stati Uniti. Questi conflitti globali, a parte le guerre nucleari, sono normalmente ‘risolti’ dai collassi dei sistemi politici degli attori chiave. La guerra fredda fra Usa e Urss è stata risolta così: con il collasso del sistema politico-economico sovietico, incapace di andare appresso ai sistemi politico-economici capitalistici sociali d’Occidente in tema di benessere, beni di consumo, diritti politici, aperture mentali. Raymond Aron aveva spiegato la cosa da par suo in tempi non sospetti ovvero molto prima del collasso sovietico. Anche stavolta il tema di fondo è quello delle crisi, degli assetti e delle sfide dei sistemi politici o politico-economici degli attori e del sistema economico-politico globale nel suo complesso.
L’Occidente non è messo benissimo, ma in realtà ci sono differenti Occidenti, differenti sistemi politici, e differenti sistemi politico-economici. Ci sono i sistemi politici anglosassoni, ci sono i frammentati/frantumati sistemi politici europei, ci sono i funzionali sistemi politici delle democrazie est-asiatiche. I sistemi politici anglosassoni, Gran Bretagna e Stati Uniti in particolare, a lungo sono stati le ‘democrazie modello’, giustamente. Lo sono ancora?
Sono caratterizzati da delegittimazione delle istituzioni giuridiche, iper-debito, iper-polarizzazioni. I necons da tempo predicano e implementano la delegittimazione delle istituzioni, degli organismi, del diritto internazionale. Ma oggi gli ambiti politici nazionali e quelli globali sono sempre più connessi e interconnessi. Ieri era possibile avere logiche diverse per la democrazia interna e per la politica di potenza internazionale. Oggi è quasi impossibile: o si è liberali coerenti e quindi fautori della rule of law e stato di diritto nell’ambito nazionale e a livello globale o si tenderà alle politiche di arbitrio a livello internazionale ed anche a livello nazionale. Guatanamo, non firma del trattato della CPI, la Corte penale internazionale, alla fine sono connessi; pretese di giurisdizioni ‘imperiali’ e crisi della Corte suprema anch’esse sono collegate. I neocons provocano crisi organica della stato di diritto a casa e nel mondo, nel mondo e a casa.
La delegittimazione del processo elettorale e del sistema giuridico indicano che il confine fra democrazia costituzionale pluralista e ‘partitocrazia’ è stato superato a Washington: gli Stati Uniti assomigliano sempre di più alla Federazione yugoslava fra Slobodan Milosevic e Franjo Tudjam.
Questo è un punto delicatissimo non solo di regime politico interno, ma di geopolitica e di relazioni internazionali. Le democrazie ancorché imperfette, (le democrazie pluraliste sono per definizione imperfette), si correggono, si autocorregono. Sono imperfette ma perfettibili, sempre. Per questa ragione le democrazie liberali funzionano meglio delle dittature, o regimi autoritari ‘compiuti’, e alla lunga prevalgono su di essi.
Le ‘partitocrazie’, proprio per i deficit di stato di diritto, però disfunzionano e disfunzionano proprio negli elementi chiave di questo discorso: i paesi occidentali ‘partitocratici’ rischiano di non saper correggere politiche, comportamenti, approcci sbagliati e quindi di perseverare negli errori: non imparano popperianamente o lakatosanamente dagli errori. Il dibattito oggi non è fra ‘democrazie’ e ‘autocrazie’/‘regimi’/dittature, ma fra diversi regimi politici, democrazie pluralistiche europee o est-asiatiche ad esempio, regimi autoritari corrotti, regimi autoritari incompiuti e quindi potenzialmente in evoluzione, ‘partitocrazie’. In realtà, però, anche questa distinzione più precisa forse potrebbe essere relativamente o parzialmente errata poiché in quasi tutti i regimi politici oggi, seppur qualitativamente differenti, coesistono elementi pluralisti ed elementi ‘egemonici’ o addirittura autoritari: ma questo è un discorso diverso…..
Il problema veramente serio per gli Stati Uniti è che, grazie (anche) ai neocons (in realtà anche il fenomeno neocon è parte di un processo storico più ampio e di cui la stessa demagogia anti-liberale neocon è un prodotto) disfunzionano sempre più come ‘partitocrazia’ e quindi spesso non riescono a correggere validamente gli errori anche se gravissimi.
Ciò ha un’altra conseguenza enorme: lo stato di diritto, la rule of law sono nelle società occidentali lo strumento principale di regolazione e composizione dei conflitti e delle controversie; e sono anche un potente fattore di legittimazione e coesione sociale, il più importante fattore in tal senso. Nelle società confuciane est-asiatiche convenzioni e rituali confuciana o di matrice confuciana hanno questo ruolo coesivo; in Occidente esso è proprio del diritto, dello stato di diritto, della rule of law. Minando, corrompendo, delegittimando stato di diritto, sovranità della legge, certezza del diritto (attenzione le ‘regole’ sono una cosa, il diritto un’altra), gli illiberali neocons non solo minano, corrompono un fondamentale aspetto delle democrazie occidentali: ne distruggono la coesione sociale, i fondamenti dell’ordinamento (se non sbagliamo, Kelsen docet). Morale, Lo spettro della Yugoslavia s’avanza nella crisi di iper-polarizzazione del mondo anglosassone. Ciò ha conseguenze anche geopolitiche. E geo-economiche.
In questo quadro, il ruolo delle ‘potenze civili’-‘democrazie sociali di mercato’, diventa centrale per l’avvenire stesso dell’Occidente inteso come insieme di democrazie liberali pluralistiche con forti caratteri sociali. Come reagiranno alle sfide di questi giorni? In particolare come reagirà il Giappone all’assassinio del suo più noto uomo politico? Il Giappone nell’’area est-asiatica, non è una qualunque democrazia. E’ piuttosto l’anatra-capo delle democrazie avanzate della regione, insieme che ricomprende anche Taiwan e Corea del Sud. Tutti paesi con forti economie, con vibranti democrazie, con fortissimi intrecci economici (e civili) con la Cina. D’altra parte Shinzo Abe non è un qualunque seppur influente politico nipponico. Abe era il più importante leader politico attuale del Giappone. Era un po’ come la Cancelliera Merkel in Germania e in Europa fino a pochi mesi or sono. Ha altrettanto plasmato il destino del suo paese (forse persino di più).
Shinzo Abe è stato a lungo primo ministro, dal 2006 al 2007 e poi dal 2012 al 2020, anno in cui dette le dimissioni per ragioni di salute. Ragioni di salute che furono poi superate. Non solo: Shinzo Abe appartiene ad una famiglia politica di lungo potere in Giappone: una famiglia che comprende ministri e primi ministri di importanza storia a Tokyo. Due nomi per tutti: Eisaku Sato, primo ministro nel dopoguerra, Nobuszuke Kishi, un’altro primo ministro. Apparteneva all’area conservatrice nazionalista del suo partito, il Partito liberal-democratico, di destra e di centrodestra. Per tutti i suoi mandati ha definito in modo innovativo, le politiche economiche e quelle internazionali del Giappone. L’’Abenomics’ prende nome proprio da Abe; le politiche di riarmo sono diventate cruciali con i suoi governi. Seppure assertivo nei confronti di Pechino, in una seconda parte della sua vicenda di premier, aveva riaperto legami e relazioni cooperative con la Repubblica Popolare. Tanto che poco prima della pandemia, a dicembre del 2019, aveva partecipato ad un importantissimo vertice triangolare a Chengdu con il primo ministro cinese e l’allora Presidente dell Corea del Sud. Infine alla fine della sua carriera politica, aveva strenuamente difeso i legami del Giappone con Taiwan. Una figura ‘controversa’ quindi nell’ottica cinese, e in tal modo i media ufficiali di Pechino hanno commentato la sua storia dopo il suo assassinio.
Shinzo Abe, infatti, dopo le dimissioni da primo ministro e la ripresa positiva delle sue condizioni di salute, aveva ripreso un ruolo chiave nella struttura del potere giapponese: era infatti diventato il capo della fazione più potente e rilevante del Partito liberal-democratico, la fazione Seiwaken. Anche qui una precisazione: il sistema politico di governo reale del Giappone è strutturato attorno ad un ‘triangolo del potere’, fra Partito liberal-democratico, l’alta burocrazia economica e la Confindustria e i relativi potentissimi conglomerati manifatturieri-finanziari. Il Partito liberaldemocratico, escluso che per un breve periodo, ha costituito e costituisce tutt’oggi, il ‘partito pre-dominante’ del sistema politico, da sempre in alleanza con il partito Komeito, centrista, pacifista, buddista. Un po’ come la nostra antica Democrazia Cristiana, ma in modo ancora più strutturato, il PLD è organizzato come confederazione di correnti e fazioni che quindi giocano un ruolo fondamentale nel partito e nel paese, vista la centralità anzi la predominanza del PLD nel sistema politico reale del Sol levante.
In questo assetto, il ruolo di capo della fazione più ampia e potente del PLD non può essere sottovalutato. Shinzo Abe era stato kingmaker dell’attuale primo ministro Fumio Kishida, un moderato liberale, ex ministro degli esteri. E aveva un ruolo di riferimento delle tendenze della destra più nazionalista.
Dunque era allo stesso tempo leader della corrente più importante e figura di riferimento della destra più nazionalista. Ora entrambi questi ruoli dovranno essere ricoperti da altri. Ciò comporterà confronti e conflitti politici. E difatti la sua fazione ha ora una ‘leadership collegiale’. Dato che essa ha anche una storia complessa di scissioni e ricomposizioni, non è impossibile che anche stavolta possa essere immersa in una complicata fase di assestamento. D’altra parte proprio il carattere di riferimento di Abe per i nazionalisti, ora produrrà la ‘necessità’ sistemica di nuovi punti di riferimento. Ma Abe non era solo un punto di riferimento: alla fine era anche un politico pragmatico. Chi lo sostituirà sia come riferimento di quel destra sia come capo di quella fazione sarà ugualmente pragmatico, o meglio potrà essere altrettanto pragmatico? Non sfugge infatti che proprio al lunga eredità ‘dinastica’ di Abe nella sua famiglia lo poneva nella condizione di rappresentare i nazionalisti ma di poterlo fare in modo pragmatico. Alcuni commentatori non casualmente hanno ipotizzato proprio una certa conflittualità politica con riflessi geopolitici proprio a causa di questa ricerca di rappresentanza da parte dei circoli nazionalistici.
Ciò potrebbe essere ‘aggravato’ da un’altro fatto: nelle successive e recentissime elezioni della Camera dei Consiglieri, lo schieramento dei partiti a favore della revisione della Costituzione pacifista, uno schieramento che va al di là della coalizione di governo PLD-Komeito, ha la super.maggioranza dei due terzi (che già aveva alla Camera dei rappresentanti). Per le revisioni costituzionali in. Giappone servono la super-maggioranza in entrambe le camere della Dieta e poi la maggioranza dei voti in un apposito referendum,. Questo fatto, la super-maggioranza parlamentare, e la ricerca-competizione per un riferimento dei circoli nazionalisti, potrebbe spingere il Giappone verso un certo ‘revisionismo’ costituzionale a forte base nazionalistica. A dir la verità le cose sono un po’ complesse: il partito alleato del PLD, ili Komeito, è da sempre molto freddo nei fatti sulla revisione della Costituzione pacifista, ma sta di fatto che in altre capitali, in particolare ovviamente a Pechino, sembrano ‘preoccupati’ per questo orientamento a Tokyo.
L’assassinio di Shinzo Abe, quindi, produce purtroppo effetti rilevanti anche se alcuni importanti specialisti del Giappone ritengono che il sistema politico del Sol levante presenti caratteri fortissimi di stabilità. Sicuramente, salvo sorprese storiche, il sistema politico si ri-assesterà prontamente, ma per l’intanto da un lato entra in fibrillazione il sistema delle fazioni dl PLD e dall’altro lato i circoli nazionalisti sono alla ricerca di nuovi potenti punti di riferimento il che significa competizione politica.
La prima faccenda è rilevante: la fazione di cui Abe era il leader è la più ampia del PLD, il sistema delle fazioni è la struttura chiave del partito e il PLD è il partito dominante della scena di Tokyo. Il processo di riassestamento del sistema della fazioni quindi produrrà una nuova stabilità ma comunque ora produce una certa ‘instabilità’.
Non solo: il Giappone attraversa un periodo economico particolare e propri ora l’ideatore dell’’Abenomics’ viene a mancare. L’’Abenomcis’ era una formula di politica economica innovative, comprendente, politica monetaria iper-espansiva, politiche di bilancio relativamente prudenti (almeno fino alla pandemia), politiche di riforme economiche di efficienza. La chiave di tutto era la politica monetaria che in Giappone ha assunto caratteri inusitati persino per la FED e la BCE. Ora l’ideatore di questa formula economica non c’è più proprio poche settimane prima del ambio della guida della Banca centrale giapponese: il mandato dell’attuale governatore Kuroda, terminerà proprio nel 2023. Per ora Tokio sta proseguendo nella politica monetaria iper-espansiva, nonostante l’inversione di questa politica da parte della FED e della BCE, ma che cosa accadrà dal 2023 nessuno pò dirlo. A parte che la scomparsa di Abe, rende meno stabile anche questo ambito del processo politico giapponese. Dunque instabilità (relativa) del sistema della fazioni e nel sistema politico, e instabilità (relativa) nella politica economica.
Il Giappone di Kishida alle prese con gli impatti della guerra, deve quindi affrontarli in modo del tutto imprevisto. E qui arriviamo ad un’altro punto chiave: lo yen, la moneta nipponica, si è profondamente indebolita rispetto al dollaro in questi mesi. Ciò è effetto ovviamente proprio delle politiche di rialzo dei tassi della FED, ma c’è dell’altro, dice l’economista. Ci sono altri fattori che devono essere attentamente considerati per capire quali saranno le prossime risposte della ‘potenza civile’ giapponese alla sfide storiche del nostro tempo.
L’economia giapponese non è più strutturalmente in attivo di bilancia commerciale. Si sta profondamente riorientando: il Giappone si sta ricollocando nell’ambito delle catene del valore in Asia. Detto in altri termini, i due grandi accordi commerciali dell’Asia-Pacifico già stanno producendo profondi effetti. RCEP, l’accordo economico dell’Asia a guida cinese, e il CPTPP, l’accordo transpacifico a guida giapponese, stanno strutturando in termini e forme innovative catene del valore e filiere produttive, canali e sbocchi di mercato e interscambi economici in Asia e nel Pacifico.
Ciò ha un impatto economico e monetario: lo yen più debole. Ma ha anche un impatto geopolitico-geoeconomico potenzialmente enorme. Non può sfuggire infatti che ciò significa che l’Asia-Pacifico guidata dall’Asia nordorientale, Cina, Giappone, Corea del Sud, si sta strutturando in modo innovativo senza gli Stati Uniti dal punto di vista economico e commerciale. RCEP e CPTPP, e poi la Via della seta cinese e i corridoi economico India-Giappone sono dunque tutti aspetti di un processo di integrazione economico, e geo-economico epocale. L’iniziativa americana dell’IndoPacific Economic Framework, IPEF, e quella ‘Chip 4’, l’Alleanza tecnologica, senza accordi commerciali ed economici di apertura globale potrebbero rischiare di essere addirittura controproducenti o meramente coercitivi e poco incisivi: rischiano o di aumentare il ruolo centrale delle economie avanziate dell’Asia nord-orientale o di costituire standard dal forte contenuto burocratico. Lo spazio economico RCEP-CPTPP, per ora, si sta strutturando autonomamente.
Ciò crea una potenziale frattura geopolitica fra l’’Asia marittima’, India, Corea del Sud, Taiwan, Australia, Nuova Zelanda, Singapore, India e Indonesia, e gli Stati Uniti. E’ una frattura non solo geopolitica ma che investe direttamente i sistemi politici nazionali: il Giappone e le società dell’Asia marittima ‘reggono’ bene la globalizzazione: gli Stati Uniti, le classi lavoratrici, le classi popolari, le classi medie americane non reggono più la globalizzazione. Questo è il punto dirimente.
Tutto ciò crea invece un potenziale spazio geopolitico e strategico per una nuova forma di autonomia strategica per Tokyo. Le stesse scelte strategiche del Giappone, in alleanza con gli Stati Uniti, dalla difesa di Taiwan fino al QUAD, possono trasfigurassi in passaggi di autonomia strategica di Tokyo. L’incontro di un QUAD asiatico, Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda potrebbe essere letto anche in questa direzione. Anche il riarmo giapponese e la collaborazione nippo-sudcoreana possibile con la nuova amministrazione conservatrice di Seul, potrebbero andare in questa direzione.
Ovviamente si può pensare legittimamente che l’allineamento del Giappone con Fumio Kishida alla politica di sanzione contro Mosca sia una riduzione dell’autonomia geopolitica di Tokyo, però se si vedono le cose in controluce, secondo noi (è la nostra suggestione), quell’allineamento du un dossier alla fine ‘secondario’ per Tokyo da parte del Giappone consente alla leadership nipponica di giocare al meglio e ancora più innovativamente proprio le carte dell’autonomia geopolitica.
Una suggestione sbagliata? Lo vedremo. Comunque proprio queste caratteristiche della geopolitica globale ed economica del Giappone ci consentono di sottolineare l’importanza di Tokyo per l’intero Occidente. Il nuovo Cancelliere tedesco, con la sua recente visita in Giappone ha mostrato di comprendere bene questa situazione. E d’altra parte, la risposta della democrazia giapponese ci consente di guardare ai sistemi politici est-asiatici di tipo democratico pluralistico con particolare interesse. Infatti se una rilevante ‘potenza civile’ riuscirà a mantenere la sua identità di potenza civile e di democrazia sociale di mercato e allo stesso tempo proporre e condurre strategie di autonomia geopolitica importanti in un ‘ambiente di guerra’, ciò potrebbe costituire un ottimo esempio per tutti contro la ‘follia neocon’; per tutto l’Occidente!
Non deve sfuggire infatti un aspetto fondamentale, struttura e caratteristiche (formato e dinamica) del sistema politico giapponese. Come abbiamo accennato prima, il sistema politico del Sol levante si fonda sul ‘triangolo del potere’ (un sistema di elite ‘concertativo’) e sul ‘partito dominante’ ma con una forte dialettica interna (sistema politico a partito predominante, appunto), il PLD. E’ quindi diverso dai sistemi politici competitivi-bipolari malati di iper-polarizzazione come gli Stati Uniti. Il Giappone è un tipo interessante di democrazia pluralistica differente rispetto alla partitocrazia all’americana. Non solo: il sistema fondato sullo ‘stato di diritto’ in paesi come il Giappone è integrato dai riti e dalle convenzioni di antica matrice neo-confuciana.
Ciò da del Giappone un esempio molto particolare e alquanto interessante: unisce un democrazia a partito dominante e a ‘regole’ miste di diritto e di riti con una geopolitica geoeconomica e ‘multipolare’, che per molte caratteristiche richiama la tradizione del teatro kabuki!! Il sistema politico giapponese ha molte possibilità di rispondere bene e di resistere adeguatamente alle sfide della globalizzazione riscritta e rivisitata. E di riunire politica interna e geopolitica in chiave democratica, democratica all’est-asiatica ovviamente!!!. Anche se non mancano anche qui le contraddizioni: basti pensare alla estrema difficoltà della democrazia giapponese nello scusarsi per i crimini commessi dal fascismo militare contro i popoli dell’Asia orientale durante le guerre di aggressione!!!
Concludiamo. Comunque si vogliono leggere i fatti, geopolitici-geoeconomici e politici, una cosa sembra evidente: il primo ministro Kishida avrà un ruolo chiave in tutta la vicenda.
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